Lei.
Un titolo
semplice.
In inglese, Her.
Più affascinante,
secondo me.
Perché in
italiano lei suona più come un
soggetto, e quindi il centro di tutto.
Invece in inglese
viene usato il pronome personale complemento oggetto, facendoci pensare che si sta parlando di lei, la si sta raccontando e ci sia un rapporto tra due persone, di qualunque natura esso sia.
viene usato il pronome personale complemento oggetto, facendoci pensare che si sta parlando di lei, la si sta raccontando e ci sia un rapporto tra due persone, di qualunque natura esso sia.
Pensate: io
amo lei, io dico a lei, io do a lei.
Viene da sé
quindi che il soggetto è un altro e non più lei.
Stiamo parlando
di Theodore, interpretato da Joaquin Phoenix
in questa bellissima storia scritta e diretta da Spike Jonez (Nel paese delle creature selvagge, 2009) e candidata agli Oscar di quest’anno in ben 5
categorie: Miglior film, Miglior sceneggiatura originale, Miglior scenografia,
Miglior colonna sonora e Miglior canzone originale.
Partiamo subito
togliendoci ogni dubbio sull’ultima nomination: la statuetta DEVE andare a “Let
it go” (Frozen). Quindi una ce la siamo già giocata.
Per le altre devo
ancora pensarci bene e, soprattutto, mi piacerebbe vedere anche tutti gli altri
film candidati, ma d’istinto direi che il premio per la sceneggiatura lo darei
a questo film senza troppe esitazioni.
Ci troviamo in un
futuro non troppo lontano, dove viviamo a stretto contatto con la tecnologia,
che semplifica aspetti della nostra vita quotidiana arrivando anche a
sostituirne alcuni.
Theodore per lavoro
scrive lettere d’amore per conto di persone che non sono in grado da sole di
esprimere i propri sentimenti. Tuttavia, conduce una vita solitaria e sente
sopra di sé il macigno del divorzio chiesto dalla moglie Catherine (una bellissima e
irriconoscibile Rooney Mara, se l’avete vista solo in Uomini che odiano le donne), che lo accusa di essersi allontanato
da lei. Il colpo incassato è grande, Theodore e Catherine si sono conosciuti da giovani e
sono cresciuti insieme da allora.
Theodore trova
consolazione acquistando un nuovo sistema operativo per il suo computer,
progettato per sviluppare emozioni e migliorare le proprie capacità cognitive e
psicologiche. Il software è anche personalizzabile: Theodore decide di dargli una
voce femminile e così sì trova di punto in bianco a parlare con Samantha, nome
scelto autonomamente dal sistema operativo dopo aver scandagliato migliaia di
libri in pochi nanosecondi. La voce di Samantha è di Scarlett Johannson, che per
questa interpretazione ha vinto un premio per la Miglior interpretazione femminile al Festival Internazionale del film di Roma dello scoro anno (curiosità: in origine la voce era quella di Samantha Morton, ma in fase di montaggio,
il regista Spike Jonez non rimase convinto del risultato a tal punto da arrivare
a cambiare la voce scegliendo a questo punto la Johannsson).
Comincia così a
svilupparsi una relazione complice tra i due, a tratti anche intima, fino a
vivere tutte le fasi di un rapporto tra due umani: corteggiamento, amore,
scontro, litigio, incomprensione, riappacificazione e così via. Mentre ad
alcuni (in questo caso la moglie) possa sembrare assurdo questo tipo di
relazione, altri non ci vedono anomalie, probabilmente perché stanno vivendo lo
stesso periodo di smarrimento e ricerca della felicità (in questo caso Amy,
interpretata da Amy Adams).
Lei, o come preferisco Her, è un
film che si fa ancora ricordare qualche giorno dopo averlo visto perché fa
riflettere. Sembra assurdo immaginare un mondo descritto in tale modo, ma è
paradossale non rendersi conto di quanto poco si discosti dalla realtà attuale,
di cui costituisce un’amara critica.
Siamo sempre più
soli, e la salvezza risiede nelle persone che abbiamo accanto, magari in quelle
di cui davamo per scontata la presenza o con le quali non abbiamo coltivato abbastanza i
rapporti.
Piccola nota personale: non vi capita mai di provare quella sensazione di freddo dove prendereste una coperta e qualcosa di caldo e fissereste di notte la città lasciandovi cullare da quella sensazione di solitudine e malinconia che ogni tanto serve e fa bene? Ecco, questo film mi da a tratti questa sensazione, complici i panorami di Los Angeles e Shanghai, dove il film è stato girato.
Appello: vogliamo
calcolare un po’ di più Joaquin Phoenix? Già l’anno scorso, secondo me, avrebbe
dovuto vincere l’Oscar come Miglior attore protagonista per The Master, e invece...
Nota divertente:
l’omino bianco protagonista del videogioco. Spassosissimo.
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